Analisi di Mercato: IL SETTORE DELLA PELLETTERIA

IL SETTORE DELLA PELLETTERIA IN ITALIA

 

Secondo la nota congiunturale “Il settore della pelletteria italiana – Primo semestre 2018” (elaborata da Confindustria Moda per Assopellettieri), in un contesto macroeconomico in cui, in avvio dell’anno 2018, gli scambi internazionali hanno subìto, da una parte, il rallentamento rispetto all’anno precedente e, dall’altra, il consistente apprezzamento dell’euro sul dollaro (nel primo trimestre 2018), aspetti che hanno frenato le esportazioni del vecchio continente con la revisione al ribasso delle stime di crescita dell’economia italiana, nei primi 5 mesi del 2018 l’export nazionale di beni di pelletteria ha registrato un nuovo incremento a doppia cifra in valore (+10,7%), dopo gli ottimi risultati a consuntivo 2017 (+13,2%).

Al cauto avvio del primo trimestre (che nonostante una flessione superiore al 3% nelle quantità aveva fatto comunque segnare un ragguardevole +7,2% in valore), è seguito un bimestre decisamente più dinamico (+16,5% in valore e +2,9% nei KG rispetto ad aprile/maggio 2017), che ha ridotto il gap con l’anno precedente in quantità (-1,2% nei primi 5 mesi) e permesso di raggiungere, in termini di valore, l’ennesimo record: tra gennaio e fine maggio sono stati infatti venduti fuori dai confini nazionali prodotti per oltre 3,33 miliardi di euro (324 milioni di euro in più rispetto all’analogo periodo 2017), per 25,6 milioni di KG (erano 25,9 milioni lo scorso anno, ma il risultato attuale è comunque superiore a quello di tutti gli altri primi 5 mesi dell’ultimo decennio).

Il prezzo medio al KG è salito a 130,23 euro (con un +12,1%), a ulteriore testimonianza del riconoscimento, da parte dei buyers internazionali, dell’eccellenza delle produzioni Made in Italy che risulta ancora più evidente nel confronto con il prezzo medio delle merci in ingresso: 21,20 euro/KG (e addirittura 9,93 euro/KG per quelle di provenienza cinese).

L’export si è confermato dunque il traino del settore, a fronte di una domanda interna che resta comunque su livelli assolutamente insoddisfacenti, dopo anni di continue erosioni.

Per le vendite estere di pelletteria resta determinante il ruolo dei grandi gruppi mondiali del lusso, che seguitano a conseguire brillanti risultati, come dimostrano il +24,4% in valore e il +22,2% nei KG delle esportazioni verso la Svizzera, hub logistico di molte griffe internazionali della moda che da lì commercializzano i prodotti in tutto il mondo (Italia inclusa, come indica la presenza del paese elvetico ai primi posti della graduatoria dell’import per paese di provenienza).

Se il settore nel complesso seguita a evidenziare performance di assoluto rilievo e sebbene non manchino aziende con risultati decisamente positivi anche tra quelle di minor dimensione, sono ancora molte le realtà – soprattutto tra le micro, piccole e medie imprese (che costituiscono poi la maggioranza dell’universo delle oltre 4.600 aziende di cui il comparto si compone, dal momento che il numero medio di addetti è di poco superiore a 7) – che ancora non hanno imboccato la via della ripresa. Ulteriore conferma in questo senso è fornita dai dati di Movimprese, che segnalano, nei primi 6 mesi dell’anno, un saldo negativo nel numero di aziende attive pari a 40 unità, considerando sia industria che artigianato, rispetto a dicembre 2017.

L’analisi dell’export per destinazione mostra dinamiche simili, in valore, sia per i mercati comunitari (+12,2%) che per quelli extra-UE (+10,1%); opposto, però, l’andamento in quantità, dove a fronte di un aumento attorno al 9% per i Paesi extra-UE, verso i mercati dell’Unione le esportazioni sono scese del 7,2%, con trend negativi in diversi sbocchi (Francia, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Belgio…). Fa eccezione la Germania, che con un +16,3% in volume rafforza la leadership nella graduatoria dei clienti per KG.

In Far East (rimasto stabile nei KG nel complesso, -0,6%, con un +4,2% in valore), frena il Giappone (-4,9% in valore e -7,6% in quantità), un mercato dalle grandi potenzialità di sviluppo futuro, diventate assai più concrete con la firma del trattato di libero scambio con la UE (nonostante i tempi lunghi previsti per arrivare alla completa liberalizzazione); stentano (con flessioni nell’ordine dell’1% in valore e di qualche punto più marcate nelle quantità) Hong Kong e Singapore (quest’ultimo già in calo lo scorso anno); riprende a crescere, dopo un primo trimestre improntato alla stabilità, la Sud Corea (+8,4% in valore e +3,2% nei KG nei primi 5 mesi) che già aveva conseguito risultati premianti a consuntivo 2017; superiori al 20%, invece, gli incrementi della Cina. Nel continente americano, prosegue il recupero degli USA (+30,1% nelle quantità, pur se a prezzi decrescenti, tanto da far segnare un modesto +1,9% in valore), quarto mercato di sbocco, su cui aleggia in lontananza la minaccia – che tutti auspicano resti tale (e in questa direzione vanno i recenti tentativi della UE di riprendere negoziati commerciali su larga scala con gli States) – degli effetti che una eventuale battaglia daziaria con l’Unione Europea estesa ai prodotti della moda potrebbe innescare; bene anche il Canada, con cui è entrato in vigore a fine settembre 2017 – pur se in via provvisoria ma con l’abbattimento dei dazi – l’accordo CETA.

In Russia, la fase di parziale recupero che aveva caratterizzato sia il 2016 che il 2017 ha subìto un brusco rallentamento (+0,6% in valore e -4,9% in quantità nei primi 5 mesi), benché dopo un primo trimestre fortemente negativo la domanda si sia attestata su livelli meno penalizzanti. Male gli Emirati Arabi (-1,1% valore, con un forte calo nei KG); segni positivi, nei dati disponibili sinora, per la Turchia (+4,3% valore) dove andranno monitorate nei prossimi mesi le eventuali conseguenze sugli scambi commerciali della pesante crisi monetaria esplosa in estate.

Si noti come le prime 6 destinazioni (Svizzera, Francia, Hong Kong, USA, Sud Corea e Giappone) coprano oltre il 60% delle vendite estero settoriali in valore.

Per quanto concerne le tipologie, andamento decisamente favorevole in valore sia dell’export di beni realizzati in pelle (+9,6%, che coprono quasi l’80% del fatturato estero), che per quelli in succedaneo (+15,5%). Nelle quantità, invece, crescono le produzioni in pelle, tipiche della tradizione artigianale Made in Italy (+4,7%, con incrementi del 4,4% per le borse e del 4% per le cinture), mentre flettono del 6%, quelle realizzate in altro materiale, con cali attorno al 10% per borse e piccola pelletteria (portafogli, borsellini, portachiavi, astucci per oggetti…).

 

IL SETTORE DELLA PELLETTERIA IN TOSCANA

La Toscana può vantare la presenza di una delle eccellenze industriali a livello nazionale: il Distretto industriale pelli, cuoio e calzature del Valdarno Superiore. Il Distretto è situato all’interno del triangolo Firenze – Arezzo – Siena, il Valdarno superiore è racchiuso tra la dorsale appeninica del Pratomagno e i monti del Chianti. In quest’area, il distretto delle pelli, cuoio e calzature della Provincia di Arezzo comprende quattro comuni in Provincia di Firenze (Rignano sull’Arno, Reggello, Incisa Valdarno e Figline Valdarno) e nove in Provincia di Arezzo (San Giovanni Valdarno, Cavriglia, Pian di Scò, Castel Franco di Sopra, Montevarchi, Terranova, Bracciolini, Loro Ciuffenna, Bucine). Nel Distretto sono presenti una fitta rete di aziende di medie dimensioni, produttivamente legate ai grandi gruppi con radici toscane (Prada, Gucci e Ferragamo) e alle griffe internazionali (Fendi, Louis Vuitton, Chanel, Dior e Céline) che, pur avendo i centri direzionali all’estero, hanno scelto il Distretto fiorentino per insediare laboratori di progettazione e produzione.

Il sistema Moda rappresenta l’asse portante dell’industria toscana, con le sue quasi 22.000 imprese che danno lavoro a oltre 120mila addetti e producono oltre il 28% delle esportazioni totali regionali.

Nel distretto si concentra una fetta importante della produzione regionale della pelletteria. La qualità dei prodotti è generalmente medio-alta: borse, scarpe da uomo e da donna nelle più variegate tipologie. Anche la scarpa da bambino costituisce un settore tradizionalmente molto curato. Grazie ai sempre più stretti legami con affermate griffe della moda il distretto Valdarnese presenta, anche in tempo di crisi, un livello di sviluppo di assoluto rilievo come testimoniato anche dal rapporto 2014 dell’Osservatorio nazionale dei distretti italiani che colloca il distretto al secondo posto nella graduatoria nazionale per le migliori performance economiche.

I principali punti di forza e di debolezza del Distretto possono essere riassunti come segue: in particolare le ottime competenze tecnico-produttive, riconosciute ormai a livello internazionale, costituiscono un elemento di attrazione per le lavorazioni di alta gamma, come testimoniato dai sempre più frequenti rapporti diretti con i gradi marchi della moda. Accanto a questo tipo di attività c’è anche una produzione con marchio proprio sempre per una fascia di mercato medio-alta, rivolta prevalentemente ai mercati esteri. Elementi di debolezza sono abbastanza comuni ad altre realtà distrettuali: a parte poche eccezioni, in generale le imprese presentano una dimensione media ridotta, non sempre riescono ad effettuare gli investimenti necessari per aumentare la competitività, tutela del made in Italy e effetti distorsivi causati dai diversi regimi doganali per i quali non sempre vige il principio di reciprocità, presidio stabile dei mercati esteri e commercializzazione diretta dei prodotti, gestione finanziaria ed accesso al credito, infrastrutture.

Le industrie tessile, dell’abbigliamento e della pelletteria e calzature costituiscono in termini di valore aggiunto il 5,2% dell’economia regionale e il 29,5% della sua componente manifatturiera. Rispetto al totale italiano del settore, il comparto toscano pesa il 22,1% in termini di valore aggiunto e il 21,1% in termini di produzione. Nel confronto con le principali regioni, la Toscana, fortemente specializzata nei settori della moda, è seconda soltanto alla Lombardia (23,0%), la cui economia è però molto più grande e composita, e davanti al Veneto (16,3%).

La moda toscana, come quella delle altre regioni italiane, trae buona parte dei propri ricavi dalle vendite estere. Si tratta, in realtà, di uno dei comparti manifatturieri caratterizzati dalla maggiore apertura all’esterno. Oltre l’80% delle vendite realizzate dal settore (esclusa la gioielleria) sono realizzate sui mercati interregionali e, soprattutto, internazionali. Le industrie della moda “esportano” alle altre regioni italiane il 33,9% e all’estero il 47,0% delle proprie produzioni. Rispetto a Lombardia e Veneto, la moda toscana è (leggermente) meno (direttamente) proiettata sui mercati internazionali; e molto più esposta sugli altri mercati regionali.

Gli andamenti aggregati del sistema moda dipingono un quadro di forte protagonismo del macrosettore nell’economia regionale toscana, su più fronti macroeconomici e in confronto con due delle regioni italiane più forti come la Lombardia e il Veneto. Nonostante il forte impatto della crisi proprio sulla manifattura Made in Italy, successivamente alla prima ondata che ha colpito i mercati internazionali, si può affermare che la moda toscana ha dato un impulso fondamentale alla ripresa dell’economia regionale, sostenendo significativamente la produzione di ricchezza interna.

Secondo IRPET Toscana (2019), è innegabile che sia la pelletteria il comparto manifatturiero più in salute dell’economia toscana: la manifattura legata alla moda in Toscana rimane quindi il cuore della produzione industriale regionale, sebbene esca modificata dai processi di trasformazione degli ultimi decenni. A fronte di una contrazione generale di unità locali e addetti, si consolida il ruolo di traino delle lavorazioni della pelle (concia e pelletteria) e dell’abbigliamento, con una recente tenuta anche delle specializzazioni che più hanno sofferto i processi di globalizzazione come le calzature e il tessile e una ristrutturazione della gioielleria.

Dalle informazioni raccolte sembra emergere un vero e proprio sistema specializzato nella produzione degli accessori in pelle, che organizza sul territorio gran parte delle attività a più alto valore aggiunto dalla produzione della materia prima alla vendita del prodotto e della sua immagine internazionale. La struttura vede anche la valorizzazione di un bacino di competenze manuali e artigianali, insieme a nuove funzioni terziarie e industriali più avanzate, che è riuscito a rinnovarsi nel tempo, pur con tutte le difficoltà che le imprese denunciano nel trovare le figure professionali ricercate. Dal punto di vista organizzativo la diffusione territoriale delle diverse fasi di lavorazione in una stessa grande agglomerazione ancora in parte basata sugli scambi vis-à-vis, sulla circolazione delle persone e delle informazioni sembra rispondere alle esigenze dei mercati. Un ruolo chiave, sebbene subordinato, continuano a giocare i fornitori e contoterzisti, che operano specifiche lavorazioni, contribuendo alla crescita del valore aggiunto del prodotto finale (fonte: Il sistema moda toscano, IRPET Toscana, 2019).

Nel 2018 l’attività economica in Toscana è cresciuta debolmente, a un ritmo analogo a quello nazionale, sospinta principalmente dalle esportazioni. In un contesto di condizioni di finanziamento ancora mediamente favorevoli, anche la spesa per consumi e soprattutto quella per investimenti sono aumentate. Nella seconda parte dell’anno sono emersi segnali di peggioramento, connessi col deterioramento del quadro macroeconomico nazionale e internazionale. L’incertezza sulle prospettive di crescita continua a condizionare negativamente le aspettative formulate dagli operatori per l’anno in corso.

Nell’industria il fatturato è aumentato soprattutto per le imprese medio-grandi. Le esportazioni, trainate da farmaceutica, moda e nautica, hanno mostrato un’espansione più sostenuta della media del Paese, sia a valori correnti sia in termini reali, sebbene al di sotto della domanda potenziale. Gli investimenti sono cresciuti anche grazie agli incentivi di Industria 4.0; questi ultimi hanno sostenuto l’adeguamento tecnologico della dotazione di capitale, per il quale permane tuttavia un ritardo rispetto alla media nazionale. Lo sviluppo dei flussi turistici, dall’estero e italiani, ha favorito la crescita dei relativi servizi. L’attività del comparto edile ha mostrato segnali di lieve ripresa, sebbene i livelli di attività siano ancora contenuti rispetto all’avvio della crisi. Il mercato immobiliare è stato interessato dalla vivacità delle contrattazioni, sia di abitazioni sia di immobili non residenziali, e il comparto delle opere pubbliche ha continuato a beneficiare dell’aumento del valore dei bandi messi a gara. La redditività delle imprese è nel complesso rimasta elevata; ne hanno beneficiato la capacità di autofinanziamento e la liquidità, con una conseguente debole domanda di credito. (L’economia della Toscana – Rapporto annuale, Banca d’Italia, giugno 2019).

Nonostante quanto sopra detto, il grado di apertura internazionale della Toscana è molto elevato, grazie anche alla grande importanza del COMMERCIO ESTERO e alla forte PROIEZIONE SUI MERCATI MONDIALI del sistema produttivo regionale, sebbene negli ultimi anni abbia risentito della concorrenza internazionale dei paesi emergenti.

Le esportazioni della Toscana a prezzi correnti sono cresciute nel 2018 del 4,5%, un ritmo molto vicino a quello del 2017 e al di sopra della media italiana. Rispetto alla performance delle altre regioni italiane, la Toscana si colloca alle spalle di Lombardia (5,2%) ed Emilia-Romagna (5,7%) e davanti a Veneto (2,8%) e Piemonte (0,4%). Una volta depurata dalle vendite di metalli preziosi e prodotti della raffinazione del petrolio e, soprattutto, al netto di alcuni problemi di carattere statistico, la dinamica delle vendite estere della Toscana e delle altre principali italiane si fa più debole. La prima in particolare si attesta sul 3,1%.

Le produzioni che hanno consentito alle vendite estere della Toscana di crescere nel corso del 2018 sono, in particolare, i prodotti farmaceutici, quelli dell’industria cartaria e gli articoli della pelletteria e delle calzature. Ancora in calo invece l’export di macchine, sulla cui dinamica hanno inciso ancora una volta i cattivi risultati dell’export di macchinari per impieghi generali.

La dinamica delle esportazioni toscane sconta il rallentamento della domanda esperita dall’Eurozona, principale area di sbocco delle sue merci, soprattutto a causa dell’andamento dell’economia tedesca nel corso della seconda parte dell’anno, e nonostante la buona performance sui mercati francese e spagnolo. In crescita anche l’export verso gli Stati Uniti, mentre le merci toscane hanno sofferto sui mercati asiatici e sulle economie BRIC.

Problemi di varia natura rendono inoltre complicata l’interpretazione dei risultati. In particolare, abbiamo analizzato la dinamica delle vendite estere al netto delle provviste di bordo, caratterizzate da un salto tecnico nel corso dell’anno. Inoltre, la crescita sostenuta per il secondo anno consecutivo delle esportazioni di prodotti dell’industria del cuoio e della pelletteria in Svizzera sembra essere legata alle scelte organizzative della catena del valore di una grande multinazionale del lusso della provincia di Firenze. Infine, il commercio di autoveicoli attraverso il porto di Livorno, in pesante contrazione nel corso dell’anno, sembra da imputare alla produzione di merci prodotte al di fuori della Toscana.

A livello provinciale, la crescita dell’export toscano è stata trainata dalle province di Firenze, per via della farmaceutica e della pelletteria, e Lucca, grazie al cartario, alla meccanica e alla nautica. La performance della filiera dell’automotive ha spinto verso il basso la traiettoria dell’export livornese, mentre quella della meccanica ha contribuito alla decrescita delle vendite estere della provincia di Massa-Carrara. In forte calo anche l’export dell’area grossetana per via dei cattivi risultati dell’agro-alimentare e della chimica. Farmaceutica e cuoio e pelletteria sono alle spalle delle contrazioni del valore dell’export di, rispettivamente, Siena e Arezzo. (Le esportazioni della Toscana. Consuntivo 2018 – IRPET 2019).

 

IL MERCATO NAZIONALE E REGIONALE

 Secondo l’Osservatorio Cribis Industry Monitor, realizzato in partnership con Crif Ratings e Nomisma, l’intero sistema moda conta circa 82mila imprese attive, di cui 20.559 in ambito pelletteria (25%), 45.882 in ambito abbigliamento (56%) e 15.493 in ambito tessile (19%). Con circa 500mila occupati (+0,3% rispetto al 2016), l’industria della moda è il secondo settore manifatturiero in Italia dopo le attività metallurgiche.

Sulla base delle analisi effettuate dal Centro Studi di Confindustria Moda (2019), il settore “Tessile, Moda e Accessorio” (aggregato, si ricorda, comprensivo dei settori “Calzature”, “Concia”, “Occhialeria”, “Oreficeria-Argenteria-Gioielleria”, “Pelletteria”, “Pellicceria” e “Tessile-Abbigliamento”) archivia il 2018 in territorio positivo con riferimento a fatturato e commercio con l’estero, pur evidenziando, a seguito del deterioramento del quadro congiunturale a livello internazionale, una decelerazione dei tassi di crescita rispetto alle ben più soddisfacenti performance raggiunte nel corso del 2017. Un cambio di passo si registra, invece, per il numero di aziende attive e di addetti, entrambi in lieve calo.

Il fatturato del settore contiene l’aumento al +0,7% su base annua, salendo a 95,5 miliardi di euro (le stime rilasciate lo scorso gennaio, allorquando si era prevista una crescita pari al +0,9%, risultano, pertanto, lievemente riviste al ribasso). Guardando al trade con l’estero, l’export, dopo la discreta crescita del 2017 (+5,2%), chiude il 2018 facendo registrare una dinamica pari al +2,7%; le esportazioni complessive dei settori rappresentati da Confindustria Moda si portano sui 63,4 miliardi di euro (ovvero 1,64 miliardi in più rispetto ai livelli raggiunti nel 2017). Il 49,6% di tali flussi è assicurato dal tessile-abbigliamento, seguito da calzature e pelletteria rispettivamente con un’incidenza del 15,1% e del 12,9%; l’oreficeria-gioielleria copre il 10,2%, mentre occhialeria e concia risultano entrambe attorno al 6,0%, le pellicce nell’ordine dell’1,0%.

Contestualmente, l’import segna un incremento su base annua pari al +3,6%, più sostenuto quindi rispetto a quello sperimentato dalle vendite estere, e si avvicina ai 35,3 miliardi.

A fronte di simili andamenti di export ed import, il saldo commerciale del comparto TMA oltrepassa i 28,1 miliardi di euro, guadagnando oltre 424 milioni nei dodici mesi(+1,5%). Il TMA si conferma, quindi, il secondo settore industriale italiano per avanzo commerciale dopo la meccanica. Si sottolinea, peraltro, come la bilancia commerciale si sia confermata in surplus per tutti i 7 settori qui considerati.

Passando ora all’esame della “geografia” degli scambi messi in campo dal complesso dei settori esaminati, nel 2018 la UE ha assorbito il 46,8% dell’export in valore, mentre ha generato il 45,4% delle importazioni. In termini complementari, le aree extra-UE, invece, hanno coperto il 53,2% delle vendite italiane, mentre hanno assicurato il 54,6% delle importazioni.

Analizzando più in dettaglio le performance sperimentate dai singoli Paesi dell’Unione, si confermano ai primi posti, quali partner d’elezione per le aziende del settore, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. In corso d’anno le vendite sul mercato francese, primo sbocco, crescono del +3,3%, mentre la Germania rimane stabile (+0,2%). Dinamica positiva interessa anche il Regno Unito, nella misura del +5,7%, mentre, al contrario, la Spagna flette del -1,9%.

Relativamente ai flussi diretti al di fuori dei confini comunitari, cresciuti complessivamente del +4,8%, va segnalata la Svizzera, in aumento del +14,1%, divenuta per molte delle merceologie qui considerate la principale piattaforma logistico- commerciale per la successiva riesportazione in altri mercati; assorbe, del resto, il 10,4% dell’export totale.

Le vendite verso gli Stati Uniti, terzo mercato per valore assoluto dell’export settoriale, archivia una crescita pari al +2,3% e copre così l’8,8% del totale esportato. Con riferimento al Far East, Hong Kong sperimenta una flessione nell’ordine del -2,7%; di contro, le esportazioni dirette in Cina si mantengono vivaci, chiudendo l’anno al +15,2%. In crescita risultano anche il Giappone (+3,6%) e, su ritmi più vigorosi, la Corea del Sud (+12,7%).

Per la Russia, dopo il recupero messo a segno nel corso del 2017 (allorquando aveva accelerato al +12,4%), fa seguito una flessione pari al -2,5%.

Restando nell’ambito dei primi 15 mercati per valore di TMA esportato dall’Italia, le vendite verso Romania e Polonia flettono entrambe del -5,2%, quelle dirette negli Emirati Arabi del -11,7%; i Paesi Bassi crescono, infine, del +2,2%.

Nelle prime battute del 2019, nonostante ci si attendesse un risultato peggiore a motivo di una serie di criticità politico-economiche che hanno condizionato e stanno condizionando il quadro congiunturale nazionale ed internazionale di riferimento, il complesso dei settori rappresentati da Confindustria Moda ha dimostrato, ancora una volta, una buona capacità di reazione e una discreta attrattività per la clientela straniera, proseguendo nel suo trend espansivo oltreconfine. Pur tuttavia, se ciò vale a valore, le analisi dei volumi denotano maggiori difficoltà operative.

In particolare, sulla base dei dati ISTAT ad oggi disponibili, nel primo trimestre del 2019 l’export del TMA cresce del +5,6%, per un valore complessivo di 16,6 miliardi di euro; l’import ammonta, invece, a 9,1 miliardi, grazie ad un incremento tendenziale del +2,3%.

Il settore del TMA presenta, dunque, un’accelerazione della crescita degli scambi con l’estero rispetto al primo trimestre del 2018, allorquando l’export si era chiuso con una variazione del +2,1% e l’import del +0,8%.

Nel gennaio-marzo 2019 il saldo commerciale risulta pari a 7,4 miliardi, in virtù di un aumento del +9,9%.

Più in particolare, tra tutti i settori qui presi in esame, solo l’export della concia entra in territorio negativo; stabile sui livelli del primo trimestre 2018 si rivela la pellicceria, mentre gli altri settori evidenziano tutti una variazione di segno positivo compresa tra un +1,9% dell’oreficeria-gioielleria e un +26,6% della pelletteria, passando per un +6,1% delle calzature, un +4,9% dell’occhialeria e, infine, per un +2,4% del tessile- abbigliamento.

Come anticipato, tuttavia, a volume le esportazioni risultano in calo (-0,9% i chili complessivi), a testimonianza di criticità in ambito produttivo e di un ri-posizionamento verso l’alto delle produzioni italiane. Il tessile-abbigliamento sperimenta un calo dei volumi del -1,2%, la pelletteria del -2,8%, l’oreficeria-gioielleria del -15,0%. Le calzature evidenziano un -1,2% in termini di paia esportate. Passando all’esame delle macro-aree di sbocco, per il complesso del TMA, le vendite comunitarie, che assorbono il 46,1% del totale esportato, non vanno oltre al +0,5%, mentre le vendite dirette nelle aree extra-UE (53,9% del totale) segnano una variazione del +10,3%.

La Svizzera, in virtù di un ulteriore balzo dell’export italiano pari al +35,9%, passa in prima posizione, coprendo il 13,0% del totale. A tale performance contribuisce in primis la pelletteria; tuttavia, anche le esportazioni di calzature e quelle di occhialeria presentano un tasso d’incremento a doppia cifra.

In ambito UE, Francia e Regno Unito si confermano favorevoli, crescendo l’una del

+4,9%, l’altro del +9,4%; di contro, flettono Germania (-2,9%) e ancora Spagna (- 1,2%).

Gli Stati Uniti, terzo mercato come nel 2018, crescono del +10,6%, coprendo l’8,4% del totale. A tale risultato giovano, su tutti, tessile-abbigliamento (+15,3%), calzature (+15,7%) e pelletteria (+10,7%).

Tutta l’area del Far East si conferma favorevole al TMA: al di là di Hong Kong, che non va oltre al +0,3%, la Cina sperimenta una variazione del +9,1%, il Giappone del +7,0%, la Sud Corea del +13,9%.

Di contro, l’export verso la Russia resta in calo ed anzi perde il -9,0%. Rispetto al 2018, cambiano passo gli Emirati Arabi, tornando interessati da una dinamica espansiva (+20,9%).

In merito all’andamento del mercato interno, lo stesso vede ancora una volta confermare il trend riflessivo. Sulla base delle rilevazioni effettuate da Sita Ricerca sugli acquisti delle famiglie italiane, nel primo trimestre del 2019 si registra una contrazione pari al -1,7% del sell-out del sotto-aggregato TA-Calzature-Pelletteria. La contrazione più accentuata interessa le calzature (-3,8% in spesa), mentre i consumi di pelletteria frenano al -0,5%. Il tessile-abbigliamento cala, invece, del -1,3%. A volume la flessione più accentuata interessa la pelletteria (-2,7%), seguita dalle calzature (-2,3%) e quindi dal tessile-abbigliamento (-0,3%).

Poco brillanti anche i consumi dell’occhialeria: nei primi quatto mesi dell’anno il sell-out del settore in Italia cala infatti del -1,0% in valore (fonte: GFK, Panel Retail Optics).

Il Rapporto “Esportare la dolce vita – Il potenziale di mercato per il bello e ben fatto italiano nei mercati emergenti” elaborato da Confindustria e Prometeia (2018) delinea in maniera chiara le tendenze del mercato nel futuro prossimo per quanto riguarda i prodotti del Made in Italy, in cui il comparto moda/pelletteria italiano e toscano gioca un ruolo da player di primo piano. Il Rapporto si concentra nell’analizzare le potenzialità di crescita delle vendite di beni “Bello e Ben Fatto (BBF)” nei trenta nuovi mercati più promettenti per l’Italia.

Le piccole e medie imprese italiane hanno puntato con decisione sui mercati emergenti durante la crisi, quando la diminuzione della domanda nei mercati maturi le aveva messe in difficoltà. Oggi molti consumatori del mondo emergente stanno modificando il loro modello di consumo, una trasformazione che spesso ha coinciso con un periodo di rallentamento vissuto da alcuni dei principali nuovi mercati nel passato recente (Russia, Brasile, Emirati in particolare, ma anche la stessa Cina ha sperimentato una decelerazione). Uno scenario di crescita generalizzata nella fase successiva alla crisi aveva prodotto un ottimismo diffuso all’interno del mondo emergente che, nell’ambito del consumo, si era tradotto nell’accettazione di canoni di bellezza e qualità importati dall’estero perché rappresentativi di benessere e successo.

Per molte imprese questa fase si è tradotta soprattutto in uno sforzo commerciale, promozionale e logistico per essere presenti su mercati in rapida espansione, senza però un adattamento di prodotti e comunicazione alle esigenze peculiari del mercato. La fase di difficoltà nel biennio 2015-2016 ha modificato il quadro, ricordando alle imprese internazionali in primo luogo la fragilità di mercati che rimangono cruciali in chiave di sviluppo, ma vanno sempre affrontati attraverso un’analisi accurata dei rischi. Allo stesso tempo ha posto le stesse imprese davanti a un consumatore segnato dal ciclo economico. Il rallentamento ha impattato soprattutto sulla nascente borghesia urbana, andando a modificare capacità di spesa e ricerca di valori associati agli acquisti.

Leggere adeguatamente le trasformazioni, ponderare i rischi, cogliere prima di altri i margini di sviluppo di segmenti strategici di domanda rappresentano gli elementi chiave per invertire il trend e passare dalle buone prospettive dello scenario a quote costanti ai guadagni ben superiori stimati negli scenari “ambiziosi”. Per ogni comparto del BBF, oltre a uno scenario base a quote costanti è infatti presentato anche uno scenario ambizioso. Questo è costruito immaginando che le imprese italiane sappiano replicare nei primi sette mercati di ogni settore il guadagno di quota realizzato dal miglior concorrente a loro paragonabile per fascia di prezzo o struttura dei costi. Si tratta in altre parole di stimare gli effetti di un aumento possibile della quota italiana in ogni settore, limitato ai mercati più importanti proprio perché da intendersi come frutto di un’azione dedicata e mirata, non estendibile per definizione a tutto il mondo emergente. Secondo questa impostazione, rispetto al già significativo aumento per il BBF di 4,2 miliardi di euro atteso nello scenario base, lo scenario ambizioso può valere ulteriori 3,6 miliardi, con un contributo particolarmente significativo dei prodotti della Moda (Abbigliamento in particolare) e dell’Alimentare (soprattutto per il Vino). Il BBF italiano nei mercati emergenti arriverebbe così nel 2023 oltre 18 miliardi, un valore più alto di quanto oggi importano insieme Francia e Germania. La condizione perché lo scenario ambizioso si realizzi è ovviamente un miglioramento del posizionamento italiano nei principali mercati emergenti. È certamente un obiettivo complesso, ma non per questo irrealistico, anche considerando il livello di partenza della quota italiana nei diversi mercati.

Solo in cinque paesi (Cina, Russia, Turchia, Libano e Tunisia) il posizionamento dell’Italia è superiore a quanto fatto registrare nella media dei mercati avanzati, l’8,9%. La quota media sui mercati emergenti analizzati è invece del 5,5%, inferiore quindi di oltre 3 punti. Recuperare questo gap, farebbe crescere il potenziale negli emergenti di oltre 6 miliardi. Si tratta di uno scenario che potremmo definire ideale, che è un utile riferimento del potenziale di questi mercati una volta che nel medio termine, potere d’acquisto, apertura internazionale e infrastrutture commerciali raggiungeranno il livello medio degli avanzati. Può quindi apparire non realistico nell’immediato dal momento che, a differenza dello scenario ambizioso, implicherebbe una crescita pressoché generalizzata su tutti i paesi. Allo stesso tempo offre una misura economica delle opportunità ancora tutte da cogliere nei paesi emergenti e, soprattutto, di come il loro sviluppo possa contribuire anche a quello del BBF italiano.

Secondo Fondazione Altagamma (2017), I consumi di beni di lusso non solo resistono, come un vero e proprio baluardo del mercato, ma sembrano destinati a crescere ulteriormente rivestendo “un ruolo trainante” nel panorama economico, specialmente per quanto riguarda il Made In Italy che è in testa alle classifiche di preferenza dei globe trotter, superando di tre volte il Made In France in materia di acquisti di lusso. A questo quadro previsionale del tutto positivo dovranno indubbiamente corrispondere delle strategie ben pianificate per non farsi cogliere impreparati ed essere in grado di soddisfare le esigenze sempre più diversificate di chi acquista. In tal senso, è fondamentale conoscere i segmenti di clientela che si affacciano sul mercato nei prossimi anni: Altagamma e BCG hanno identificato 8 segmenti globali, 2 specifici per paese e 2 per sesso, per un totale di 12 profili, individuati sulla base di variabili attitudinali e non sulle tradizionali (e ormai desuete) variabili demografiche-reddituali:

 

Absolute Luxurer: raffinato ed elegante, appartiene perlopiù all’élite europea o ai mercati emergenti. Compra lusso sia personale che esperienziale. Questo segmento conta 2 milioni di consumatori per una spesa di oltre 60 miliardi di euro all’anno (un equivalente di 30.000 € in media che oscilla salendo fino ai 150.000 €);

Megacitier: è l’abitante delle grandi metropoli, quelle in cui i trend viaggiano alla velocità della luce. Vive nelle grandi capitali europee, a New York e poche altre grandi città degli Stati Uniti, o fa parte dell’élite delle megacity dei paesi emergenti. Si colloca in una fascia di età compresa tra i 25 e i 35 anni, spende circa 20mila € annui, per un mercato totale di 38 miliardi di euro;

Socialwearer: una spesa in lusso di 15mila euro l’anno. Grande attenzione per qualità, sostenibilità e connessione emotiva con il brand. Sono clienti molto fedeli, a oggi circa 700.000 individui;

Experiencer: a vestiti e accessori preferisce viaggi o cene stellate, esperienze di lusso condivise in modo sofisticato e mai appariscente. Ha di norma tra i 40 e i 50 anni, viene dall’Europa, dagli Stati Uniti o dal Giappone. Se ne contano circa 3 milioni con una spesa media di 12 mila euro all’anno;

#LITTLEPRINCE: la nuova generazione, tra i 18 e i 25 anni, abituata a giocare con il lusso. Acquista in modo impulsivo e predilige brand ed estetica alla qualità. Compra perlopiù vestiti, borse e occhiali. Questi giovanissimi consumatori del lusso fanno fatturare alle imprese circa 15 miliardi di euro;

Fashionista: prevalentemente donna, con un’età dai 35 ai 40 anni, è informata su tutto ciò che riguarda lo stile. Preferisce abiti e accessori a vacanze ed esperienze di svago. Spende in media 8 mila euro annui;

Status Seeker: affezionato a brand già affermati, ama sfoggiare loghi ben in vista. Principalmente asiatici, russi e italiani, generano un mercato di 16 miliardi di euro; Classpirational: non particolarmente ricercato, vive il lusso accessibile come passe- partout per l’accettazione da parte della sua comunità, specialmente lavorativa. 3 milioni, tra uomini e donne, che vengono principalmente da Corea e Russia. Questa tipologia di consumatore è attenta ai prezzi, che compara online, e spende in media 3.000 euro l’anno;

Luxe-immune: ha grande disponibilità di denaro e potrebbe acquistare tutto ciò che vuole ma non sembra interessato a farlo. Probabilmente l’ha fatto in passato. È presente solo nei mercati maturi e spende complessivamente circa 6 miliardi di euro l’anno; Rich Upcomer: il nuovo ricco dei paesi emergenti, ancora acerbo ma dalle grandi potenzialità d’acquisto. Sono poco più di un milione e spendono circa 5 miliardi di euro annui;

TimelessProper: è donna, raffinata ed elegante, amante di uno stile classico e senza tempo, e per questo fedele a pochi brand e negozi. Queste consumatrici (circa 2,5 milioni) spendono pressappoco 8.000 euro annui;

Omnigifter: un uomo d’altri tempi che compra soprattutto per gli altri. È parte del segmento più maturo e raramente viene dai paesi emergenti. In totale, se ne contano circa 2 milioni per un mercato di 19 miliardi di euro.

Absolute Luxurer, Megacitier e Experiencer continueranno ad essere i consumatori trainanti del mercato del lusso anche se incalzeranno sempre più i segmenti #LittlePrince e SocialWearer.

 

Prato, 10 dicembre 2019

Lo staff R&S e progettazione Euroconsulting SPA

 

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