I FABBISOGNI DELLE IMPRESE TOSCANE

I FABBISOGNI DELLE IMPRESE TOSCANE

L’analisi Irpet dei fabbisogni professionali indica per la Toscana un profilo territoriale economicamente differenziato. Le attività manifatturiere si distribuiscono lungo la valle dell’Arno e fanno riferimento a differenti vocazioni produttive localmente concentrate (si veda cartina di seguito riportata). Il sud presenta invece un profilo prevalentemente rurale e agri-turistico, mentre la costa appare più in difficoltà dal punto di vista produttivo a causa della crisi delle multinazionali e di aziende orientate prevalentemente al mercato interno, dove si registrano recessione e calo dei consumi. Per queste ragioni allarma la dimensione assunta dalla crisi economica, che si manifesta con i valori minimi del PIL, la crescita della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, il crollo degli investimenti, il cui andamento è ancora troppo lontano dai livelli precedenti al 2008.

I dati medi regionali non soddisfacenti sono il frutto di una risposta variabile alla crisi, confermando un rischio per la capacità produttiva e la coesione sociale. Non vi è dubbio, infatti, che una parte consistente del sistema economico non abbia saputo rispondere in termini di cambiamento organizzativo e specializzazione alle nuove sfide, non riuscendo a superare le difficoltà moltiplicate dall’avvento della crisi. Una delle cause è da rintracciarsi proprio nelle caratteristiche del processo di sviluppo, in particolare di una crescita “senza istruzione” (Bertola e Sestito 2011) che ha costituito un vantaggio competitivo fino agli anni Settanta, per trasformarsi successivamente in una trappola per lo sviluppo delle imprese e il loro riposizionamento nel nuovo contesto. In questo quadro è intervenuta la crisi, premiando chi aveva investito anche in formazione (Bianchi, Morelli, Ramaciotti 2012; Visco 2011). Questa lettura pare particolarmente appropriata per il modello toscano della piccola impresa diffusa e dei distretti industriali, affermatosi dal dopoguerra ed entrato in crisi con vicende alterne già nel corso degli anni ‘80, e mette in relazione l’analisi della domanda con quella dell’offerta di lavoro.

Le figure professionali strategiche fuori e dentro le imprese

Da analisi di contesto regionali sono emerse le esigenze delle imprese in termini di figure professionali a cui sono delegate le attività ritenute qualificanti per la produzione di beni o servizi. In merito a ciascuna di esse sono state inoltre rilevate alcune informazioni relative alla difficoltà di reperimento e alla rilevanza nel breve e nel lungo periodo. Il primo elemento che spicca con forza dai risultati dell’indagine è la marcata eterogeneità delle figure professionali strategiche, che appaiono molto specializzate e aderenti alle esigenze specifiche dell’azienda. Il dato è significativo perché induce a considerare la necessità per il mondo della formazione di un rapporto sistematico con le imprese, in grado di garantire una comunicazione costante. L’estrema differenziazione delle figure strategiche è inoltre il segno del valore aggiunto del capitale umano formato, che rende difficile una sua immediata sostituzione. Inoltre, una istruzione che prepari all’entrata nel mercato del lavoro non può essere considerata completa a meno di una formazione dentro l’impresa, che al momento, stando le attuali caratteristiche del sistema scolastico e universitario italiano, è invece a carico delle aziende, sempre meno disposte a sostenerne il costo. Data tale premessa, è possibile fornire un’informazione aggregata riclassificando le figure professionali dichiarate strategiche dalle imprese secondo la loro funzione e/o formazione.  Emerge così la preminenza di tecnici specializzati, la cui formazione può avvenire nell’ambito di istituti tecnici-professionali, ma anche di percorsi di specializzazione post-diploma (ITS); artigiani e operai con una capacità manuale che si acquisisce con l’esperienza. Un posto di rilievo occupa anche l’alta formazione, di tipo universitario e post-universitario, che raggiunge percentuali assai maggiori nel caso delle filiere della farmaceutica e dell’ICT. Il principio sottostante rimane quello delle figure con formazione tecnica: l’elevata specializzazione dei percorsi di istruzione finalizzata a un preciso percorso professionale. La produzione manifatturiera da un lato e i servizi relativi al turismo e alla ristorazione dall’altro, così come le attività collegate all’agricoltura necessitano di una forza lavoro più specializzata che in passato, ma rispetto alla quale rimangono centrali le competenze proprie del saper fare, che favoriscono la localizzazione del lavoro e la non facile sostituzione della componente umana. L’acquisizione di tali competenze sembra non poter prescindere da un’esperienza diretta in una o più aziende, che avvenga parallelamente al percorso scolastico e universitario. Non meno significativo appare il contributo delle figure dirigenziali (13%) e di quelle specializzate nella conduzione di impianti e macchinari (12%). Nel primo caso, dalle risposte delle aziende emerge un bisogno di personale con competenze manageriali e un’esperienza pluriennale nel settore tale da poter ricoprire incarichi di responsabilità. Guardando al panorama europeo e internazionale, questa visione delle figure dirigenziali rispecchia una peculiarità italiana, evidente anche dall’elevata età media della nostra classe dirigente, per cui si può accedere a certe cariche soltanto dopo un lungo percorso interno all’impresa. Tale convinzione diffusa trova probabilmente fondamento nell’assenza di percorsi di alta formazione da cui possano emergere figure di elevato profilo già in grado di entrare in un’azienda con mansioni dirigenziali. Anche su questo versante si apre quindi uno spazio interessante su cui intervenire in termini di formazione. Per quanto riguarda invece le figure specializzate nella conduzione di impianti e macchinari, siamo di fronte a un profilo anch’esso caratterizzato dalla forte specializzazione tecnica, ma che è in evidenza perché richiesto trasversalmente dalle filiere a elevata automatizzazione. Chi produce utilizzando macchinari ad alta componente tecnologica ha bisogno di un’assistenza continua su tale versante, non solo per intervenire in ogni momento in caso di problemi, ma anche per sfruttare al massimo la versatilità degli impianti. Competenze tecniche ed esperienza diretta risultano anche in questo caso elementi essenziali per la formazione di queste figure. Molto poco richieste sono invece le classiche competenze amministrative, che sembrano non particolarmente strategiche per le imprese dinamiche.

Siamo di fronte a due diversi tipi di informazione: la strategicità riguarda infatti la percezione dell’impresa riguardo la difficoltà di reperimento e/o sostituzione di una data figura professionale, mentre il fabbisogno non è necessariamente collegato alla strategicità, quanto piuttosto alla necessità di ricoprire una determinata posizione, anche, per esempio, in previsione di pensionamenti o di ampliamento dell’organico. Sono i tecnici specializzati e le figure con alta formazione quelle che coniugano strategicità e aumento del fabbisogno nel prossimo futuro.

Se consideriamo le singole filiere produttive, la distribuzione delle figure strategiche si presenta in combinazioni variegate, a testimonianza della richiesta fortemente specializzata proveniente dalle imprese dinamiche: si rileva, in altre parole, la ricerca di competenze “su misura”, non necessariamente canoniche rispetto al settore di riferimento, ma fondamentali per conferire qualità alla produzione di beni e servizi.

Di conseguenza, l’esigenza formativa che ne deriva appare imprescindibile da un percorso di stretta collaborazione tra mondo della formazione e mondo delle imprese e l’ottica di filiera sembra promettente per raccogliere in modo appropriato i fabbisogni, sempre più intrecciati e destrutturati, sia per le differenziazioni di investimento delle imprese più grandi, sia per la necessità delle aziende di attivare competenze legate alla volatilità della domanda, non necessariamente presenti dentro i confini dell’impresa o del gruppo di appartenenza.

Infatti, sebbene le figure professionali strategiche emerse dalle interviste riguardino prevalentemente personale interno, esiste un ampio bacino di competenze che circa l’80% delle aziende dinamiche, come ricordato, ricerca all’esterno, dentro e fuori i confini regionali, attraverso collaborazioni con altre imprese e con liberi professionisti.

PROBLEMA/ESIGENZA

Ci troviamo, quindi, di fronte ad un fabbisogno forte e concreto che rappresenta il trend dell’intera area in analisi: la necessità di reperire da parte delle imprese e degli studi tecnici e commerciali, nel mercato del lavoro locale, figure specialistiche in ambito Marketing Internazionale, che siano in grado di gestire in maniera efficace ed efficiente tutte le procedure e le pratiche connesse alla retribuzione del personale, alla produzione della documentazione in tema fiscale, assicurativo e contributivo. La congiuntura internazionale sta faticosamente uscendo negli ultimi due anni da una condizione di generale recessione e di contrazione delle attività produttive in tutto il contesto mondiale. In particolare in grandi difficoltà si è trovata l’economia italiana che esposta alla concorrenza di Paesi produttori caratterizzati da un costo del lavoro più basso ha subito gravi ripercussioni nella competitività generale. E’ nell’ultimo biennio (2016-2017) che l’Italia per la prima volta negli ultimi 8 anni ha evidenziato un tasso di crescita positivo (PIL 2017-2016) che non risulta sufficiente a risolvere problemi endemici quali la disoccupazione di lungo termine e giovanile e la perdita di competitività. Questo ha creato innegabili difficoltà di carattere finanziario ed occupazionale per quelle economie, in particolare europee, che hanno reagito con effetti diversi sulla base di come sono state articolate negli anni le politiche connesse alla produzione e all’organizzazione e retribuzione del lavoro. In particolare in Italia si è assistito ad una minore contrazione dei livelli retributivi rispetto ad una maggiore flessione delle capacità produttive. Su questa “stagnazione produttiva”, sulla quale dibattono ancora gli esperti per l’individuazione delle cause scatenanti e soprattutto per determinare correttivi di lungo effetto, possono incidere senza dubbio interventi che favoriscano, rispetto ad un mantenimento di livelli retributivi e capacità di acquisto delle retribuzioni stesse, l’aumento della qualità produttiva e l’abbattimento della disoccupazione per le fasce più deboli della popolazione. Dopo un +3,1% registrato nel 2016, il Fondo monetario internazionale ha rilevato per il 2017 una crescita globale pari al +3,5% e ha lasciato invariate quelle del 2018 (+3,6%) a fronte di “mercati finanziari ottimisti” e di “una ripresa ciclica tanto attesa della manifattura e del commercio”; nel farlo, ha però invitato i legislatori a “evitare misure protezionistiche” che potrebbero portare a guerre commerciali e ha avvertito che ci sono ancora rischi al ribasso, “specialmente nel medio termine”, che sono interconnessi e potrebbero rafforzarsi a vicenda. Essi potrebbero emerge appunto dal protezionismo, da un passo più veloce delle stime del rialzo dei tassi in Usa, da una diminuzione aggressiva delle regolamentazioni finanziarie e da condizioni finanziarie più stringenti nelle economie emergenti oltre a un circolo vizioso dato da una domanda e da bilanci deboli, da una inflazione bassa e da una crescita “anemica” della produttività.

A questi si aggiungono rischi “non economici” tra cui tensioni geopolitiche, governance debole e corruzione, eventi climatici estremi, terrorismo e preoccupazioni legate alla sicurezza. Ecco perché la scelta delle politiche sarà cruciale nel dare forma all’outlook e alla riduzione dei rischi. Ed ecco perché, secondo il Fondo, servono azioni da parte dei singoli Paesi oltre a una cooperazione multilaterale. Su quest’ultimo punto, le aree di una azione collettiva includono il mantenimento di un sistema commerciale aperto, la salvaguardia della stabilità finanziaria globale e sistemi fiscali equi. Stando alle tabelle contenute nel World Economic Outlook (Weo), il rapporto sull’economia globale redatto dall’istituto guidato da Christine Lagarde nell’ambito degli Spring Meetings, le stime per la crescita globale del 2017 sono state migliorate dello 0,1% rispetto alle previsioni calcolate nell’aggiornamento al Weo dello scorso gennaio ma anche dell’edizione del rapporto dell’ottobre 2016. Per il 2018, le stime sono rimaste invariate. A fare da traino alla ripresa, continuano ad essere le economie emergenti e in via di sviluppo che, come quelle avanzate, tornano a espandersi più di quanto registrato nel 2016. Nel primo caso si registra un +4,5% nel 2017, tanto quanto stimato a inizio anno ma lo 0,1% in meno del Weo autunnale, dopo un +4,1% visto nel 2016. Il passo dell’espansione accelererà nel 2018, quando è atteso un +4,8% (stima invariata). In questo caso, il Fondo si aspetta un miglioramento “graduale” dei freni macroeconomici vissuti dagli esportatori di materie prime grazie alla ripresa dei prezzi di queste ultime. Le economie avanzate sono cresciute del 2% nel 2017, lo 0,1% in più dei calcoli di gennaio e lo 0,2% in più rispetto a quelli dell’ottobre precedente. Anche nel 2018 è atteso un +2% (dato invariato rispetto alle stime di inizio anno ma migliorato dello 0,2% rispetto a quelle autunnali). Il Fondo attribuisce la ripresa dopo il +1,7% del 2016 con l’effetto traino dato dagli Usa, che “presuppone un allentamento fiscale e un aumento della fiducia specialmente dopo le elezioni di novembre, cosa che se continua rafforzerà lo slancio ciclico in corso”. In Cina, le previsioni sono per un +6,6% nel 2017 in decelerazione, la Russia migliora con l’attività economica “che ha toccato il fondo e con prezzi del petrolio in rialzo che sostengono la ripresa”. Dopo una contrazione dello 0,2% vista nel 2016, l’economia a Mosca cresce dell’1,4% nel 2017; si tratta di un dato rivisto al rialzo dello 0,3% rispetto ai calcoli sia di inizio anno sia di quelli autunnali. Per il 2018 è attesa la stessa espansione.

L’India continua a distinguersi con un +7,2% nel 2017 e un +7,7% il 2018, tanto quanto calcolato a gennaio dal Fondo, dopo un +6,8% nel 2016.

In America Latina, in Venezuela è prevista una contrazione del 7,4% nel 2017 e del 4,1% nel 2018. In Brasile si registra un rialzo del Pil dello 0,2% quest’anno dopo un -3,6% nello scorso anno; la ripresa accelererà l’anno venturo con un +1,7%. Le previsioni del Messico sono pari a un +2% nel 2018.

Fanalino di coda resta tuttavia l’Italia, con un incremento del pil che nel 2017 è stato pari a 1,5%. Il ciclo economico nazionale resta condizionato da un notevole grado di incertezza relativamente alle prospettive di breve periodo e la ripresa rimane di modesta portata, sebbene quello in corso rappresenti il terzo anno consecutivo di crescita dopo la recessione del 2012-2013 e la stagnazione del 2014.

  • TOSCANA 2016
  • TOSCANA 2017

 

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